Proseguono le indagini coordinate dalla Procura di Agrigento nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti pubblici, che ha già portato all’applicazione di misure cautelari nei confronti degli imprenditori della famiglia Caramazza di Favara, accusati di corruzione e altri reati.
Nella giornata di oggi, è stata applicata la misura degli arresti domiciliari nei confronti di Sebastiano Alesci, misura ritenuta dal Giudice per le indagini preliminari adeguata, sebbene meno afflittiva rispetto a quella inizialmente richiesta dalla Procura.
La Squadra Mobile di Agrigento, impegnata da oltre un anno in un’indagine complessa e tuttora in corso, sottolinea l’importanza di fornire alcuni chiarimenti, soprattutto alla luce di recenti prese di posizione pubbliche non pienamente fondate sulla conoscenza dei fatti.
Viene evidenziato come indagini articolate, come quella in corso, non possano essere limitate rigidamente nei tempi dalle recenti modifiche legislative in materia di intercettazioni. Tali strumenti restano indispensabili per l’accertamento di reati a concorso necessario, come la corruzione, in cui è altamente improbabile che le parti coinvolte denuncino spontaneamente i fatti o che terzi ne vengano a conoscenza.
Secondo l’autorità giudiziaria, l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che spesso fungeva da “reato-spia”, ha ulteriormente reso difficile l’avvio e la prosecuzione di indagini complesse come quella in oggetto. In questo scenario, l’attuale quadro normativo rischia di avvicinarsi a una sorta di “impunità di fatto” per determinati reati, un rischio che la Procura intende contrastare con fermezza, nel rispetto della legge e del principio costituzionale di uguaglianza.
L’inchiesta ha già fatto emergere elementi preoccupanti: secondo gli inquirenti, il corretto funzionamento della pubblica amministrazione in provincia di Agrigento risulta gravemente compromesso. Si fa riferimento, ad esempio, alla rete idrica di Agrigento, finanziata interamente nel 2015 con il Patto per la Sicilia e oggi, dopo dieci anni, ancora ferma al primo stralcio dei lavori. Le opere affidate nel 2023 sono formalmente avviate, ma al momento risultano eseguite solo da pochi operai e da un escavatore riconducibili a un’impresa che rappresenta appena il 12% dell’ATI aggiudicataria.
Anche il Centro Comunale di Raccolta (CCR) di Ravanusa, frutto di una progettazione risalente al 2013, è parte di un sistema di appalti frammentato e ritardato. Il bando è arrivato solo nel 2022, con tempistiche estremamente ridotte: appena 22 giorni, di cui 18 lavorativi, per la presentazione delle offerte.
Preoccupano anche i futuri appalti non ancora banditi, già oggetto di attenzioni da parte di soggetti appartenenti all’associazione per delinquere oggetto di indagine. Sebbene il Giudice non abbia ancora riconosciuto gravi indizi di colpevolezza per tutti i soggetti coinvolti, gli inquirenti ritengono di aver individuato un sistema articolato che ruota attorno a figure politiche, tecniche e amministrative già note.
Ogni istituzione competente è stata allertata per evitare il rischio concreto di perdita dei finanziamenti, ulteriori ritardi nei lavori e danni ambientali e sociali: Agrigento continua a vedere acqua che scorre per strada anziché nelle tubature, rifiuti accumularsi e discariche abusive moltiplicarsi.
La Procura e la Polizia di Stato auspicano ora la collaborazione di chi, nel mondo imprenditoriale, politico o professionale, è a conoscenza dei fatti e ha finora scelto il silenzio. Un appello alla coscienza civile, nel nome di quella “Cultura” di cui Agrigento è Capitale Italiana nel 2025, e che dovrebbe includere anche il senso civico e la legalità.